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Riflessioni "al chiuso"
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Dai "Diari" (1936 - 1946)
Mi ha sorpreso nelle lunghe degenze la nulla cura della psiche o opera rivolta ai sentimenti e a quanto resta di ragione ai poveri malati . Mi domando spesso come il grammofono non potrebbe sostituire quella cura della psiche che è assente ai metodi .
(1936)

Contemplabili dalla mia nullità scientifica alcuni punti: Controllo di gruppi psichiatrici su ogni reparto e su ogni caso, troppo essendo l'affollarsi quindi la faticata rapidità di diagnosi iniziali da cui possono interdipendere degenze d'anni. Controllo tanto più motivato dal confondersi di malati veri, di confinati per ragioni politiche o legali, di soccorribili per inettitudini sociali patenti. Notevole il numero degli individui non più visti né da sanitari né da infermieri, propriamente tanto innocui sono e obliati o abbandonati dai liberi .
(1939)

Bisogna immaginare 250 disgraziati chiusi in un cortile chiuso o in due saloni chiusi per mesi, anni , lustri, decenni alle volte, e l'umore che può stagnarvi.
(1939)

Piango umanamente per i tratti di bontà, di energia attiva e di lealtà che ho conosciuto… che studiai e disegnai e che mi levaron ogni gioia di vivere per sempre.
(1942 - 1943)

Non ho competenze né studio per suggerire consigli anche i più generici su malattie mentali, ma….. non posso a meno di chiedermi come dei poveri ragazzi dovessero esser tenuti nella promiscuità di uomini viziosi…,ovvero in una condizione moralmente indicibile di barbarie.
(1943)

Può darsi che la serietà delle anime cambi completamente il criterio pubblico sulla demenza e le lesioni al cervello, i collassi nervosi, gli esaurimenti ; le psicosi… aiutino a persuadere che vi è poco da ridere e da guardar dall'alto, quando si è tutti della stessa fragilissima creta dei buffissimi matti.
(1944)

Immagina esser vissuto per anni in due o tre saloni di residenza semi irrespirabili d'inverno, ove dovevi col cervello stanchissimo udir vociferare tutto il giorno, a tavola, con qualche encefalitico che sbavava tutto,con un epilettico che aveva una crisi e stramazzava.
(1945)

Chiuso nel rodio frenetico dell'impotenza per anni dovetti a furia di manette e gambette divenir lento nelle mie irose manifestazioni, lasciarmi vituperare docilmente come la cosa non mi riguardasse. Ci vollero sofferenze di stagioni e stagioni solo perché ritrovassi misura fra me e gli alienati fra i quali ero sepolto.
(1945)

Ciò che passo supera così tanto la mia natura che ho dovuto compatire me per compatire gli altri.
(1947)

Soffro da animale e da anima. Soffro bestialmente d'esser solo. Spesso penso alla morte.
(1952)
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