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Riflessioni "al chiuso"
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Dal manoscritto inedito:
"Cosa è la follia" (1938-1940)
Potrò abituarmi a soffrire, ma a veder tanti dolori non mi abituo affatto. Spesso cerco, passando per l'infermeria per andare a prendere il mio sonnifero, non vedere questi poveri letti d'anonimi, fisso avanti a me come un bambino spaventato.

Tra gli inavvertiti alla nostra comunità alcuni metodici, sempre accoccolati allo stesso muro o deambulanti fra quelle date piante, taciturni per settimane o mesi salvo una furiosa urlata qua e là a altri disgraziati .

Per alcuni la spoletta fra città il manicomio è abitudine. Per altri l'angoscia di ritrovar la famiglia sfatta dalle crisi o dalla scalogna che perseguita alcuni a non trovar lavoro o mercedi di mano d'opera sufficienti . Qui pure vi sono vecchi che dopo vite esemplari, son dati per matti dalle nuore e dai figli avari, ma nel complesso dato si tratta di popolo magro la cosa è meno visibile e brutta che nelle Case di Cura Private che si prestano giudiziosamente al giuoco di eredità .

Altri sono lì proni, affranti con le teste segnate di veterani ... che tocchi o meno non domanderebbero che rialzarsi pertinacemente a lavorare, lavorare a qualcosa di convincente in un mondo magari magnanimo e fraterno .

Se la comprensione è ardua spesso fra ragionevoli, immaginarsi come l'angoscia di disordini mentali tra sottoproletari dalla paura di parlare li riduce all'inabitudine della parola e sembra immurarli in loro stessi senza più saper esternare uno sfogo comprensibile.
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